Il nuovo itineario formativo che stiamo immaginando vuole integrare - ce lo siamo detti tante volte - la dimensione spirituale, quella culturale e quella psicologica.
Eppure, rispetto a quest'ultima dimensione, si avvertono ancora spesso resistenze, dubbi e diffidenze fra le persone, nei gruppi parrocchiali e più in generale nei contesti ecclesiali.
Può aiutare forse a riflettere questo servizio di Radio Vaticana intitolato "Preti sul lettino", che viene introdotto sul sito da queste brevi ma siginificative parole.
Spesso la formazione teologica del seminario non è sufficiente a preparare futuri sacerdoti capaci di attraversare crisi e momenti di stanchezza. Il clero diocesano, che diminuisce e invecchia, deve affrontare il sovraccarico di lavoro, solitudine, problematiche affettive, e tutte i rischi di chi svolge una 'professione d'aiuto'. Per i preti ci vuole perciò anche una formazione di taglio psicologico permanente, da non considerare 'un optional facoltativo'. Questo, in sintesi, il messaggio del libro 'Preti sul lettino' (Ed. Giunti), scritto a quattro mani da p. Giuseppe Crea, psicoterapeuta, e dal giornalista Fabrizio Mastrofini. Accanto a una vita spirituale intensa, bisogna imparare a gestire le proprie emozioni, a curare la dimensione umana delle relazioni.
Ovviamente, tutto ciò non vale solo per i preti. Ma anche per i laici, i padri, le madri, le coppie di sposi (i catechisti, gli operatori pastorali...).
La formazione "di taglio psicologico" non può essere "un optional facoltativo".
Il blog della Commissione formazione della parrocchia di San Frumenzio ai Prati fiscali (Roma)
venerdì 22 ottobre 2010
giovedì 14 ottobre 2010
Sabato 16 ottobre, il prossimo incontro
Sabato 16 ottobre, come da programma, si terrà il prossimo appuntamento della Commissione formazione, in parrocchia, dalle ore 17.00 alle 20.00.
Due gli argomenti all'ordine del giorno: le riflessioni in seguito all'incontro con Luciano Meddi e i primi ragionamenti sulla settimana formativa di gennaio.
Rispetto all'incontro di Meddi, in attesa di poter caricare su questo blog il video del suo intervento, ci domandiamo quali parti del suo ragionamento possono rivelarsi utili per il lavoro della commissione.
Nel frattempo, riguardo al post precedente sugli esercizi spirituali, sono a disposizione i testi di Enzo Bianchi sul silenzio e di Michel De Certeau suggeriti dalla teologa Emanuela Terribile per l'approfondimento.
Due gli argomenti all'ordine del giorno: le riflessioni in seguito all'incontro con Luciano Meddi e i primi ragionamenti sulla settimana formativa di gennaio.
Rispetto all'incontro di Meddi, in attesa di poter caricare su questo blog il video del suo intervento, ci domandiamo quali parti del suo ragionamento possono rivelarsi utili per il lavoro della commissione.
Nel frattempo, riguardo al post precedente sugli esercizi spirituali, sono a disposizione i testi di Enzo Bianchi sul silenzio e di Michel De Certeau suggeriti dalla teologa Emanuela Terribile per l'approfondimento.
mercoledì 13 ottobre 2010
Sulle ginocchia di Dio
Non si prega per andare in Paradiso. Si prega per stare contenti con il proprio Dio.
Il primo weekend di ottobre si sono svolti a Sacrofano gli esercizi spirituali della parrocchia di San Frumenzio. A predicare è stata chiamata la teologa Emanuela Terribile, che ha affrontato il tema del silenzio e della preghiera, suggerendo come approfondimento questi due testi di Enzo Bianchi e Michel De Certeau. Le sue riflessioni potrebbero essere utili anche ai lavori della nostra Commissione formazione.
Tutti siamo “capaci” di stare in silenzio.
Emanuela Terribile ha iniziato il suo intervento mettendo in guardia da un atteggiamento tanto ricorrente quanto rischioso, quando si parla di silenzio e preghiera. Quello di pensare di non essere capaci.
C’è sempre qualcuno, normalmente un prete, che è più santo e più bravo di noi. Qualcuno che è capace di fare silenzio, è capace di pregare perché ha la “vocazione”, mentre la mia è una vita “normale”, dunque il silenzio non può essere per me. Noi, insomma, non siamo mai adatti, ci manca sempre qualcosa. E allora, dopo un po’, uno si stufa e lascia perdere. E’ uno dei pericoli maggiori della vita cristiana, non perché non si va in Paradiso, ma perché se rinunciamo al silenzio, mancherà qualcosa a noi. Tutti noi, in verità, abbiamo vite “baraccate” ma benedette. Abbiamo lo Spirito Santo: non è possibile che siamo incapaci. Abbiamo la vita e abbiamo lo Spirito Santo: non ci serve altro, non è dato altro.
L’esperienza quotidiana del silenzio.
A confermare la nostra capacità di fare silenzio, ci viene incontro l’esperienza quotidiana, l’esperienza della vita di ciascuno. Malgrado il rumore che ci circonda, infatti, – ha argomentato la teologa - il silenzio non ci è sconosciuto, possiamo dire di saperne qualcosa: sappiamo innanzitutto che lo cerchiamo, che ne abbiamo desiderio.
Tante e spesso inconsapevoli sono le esperienze di silenzio nella nostra vita. Al cinema, ad esempio, mentre guardiamo un film, noi facciamo silenzio. Anche durante un concerto, mettiamo all’auditorium, noi facciamo silenzio (ce ne accorgiamo quando c’è l’intervallo, ed il silenzio di tutti è rotto dai colpetti di tosse, fino ad allora trattenuti). Non lo pensiamo come silenzio, perché sta succedendo qualcosa. Ma quello è silenzio! C’è poi il silenzio pesante, negativo: quando non abbiamo niente da dire, o non vogliamo parlare con qualcuno. C’è il silenzio degli adolescenti, quando mettono il muso, quando usano il silenzio come una porta chiusa, per tenere l’altro lontano. C’è il silenzio come arma da usare contro l’altro, magari tra marito e moglie. C’è il silenzio di fronte alla malattia, davanti alla morte. C’è quindi il silenzio positivo, il silenzio che parla. Ce lo insegna l’esperienza amorosa, quando non hai bisogno di mettere parole in mezzo, e nemmeno gesti. Si sta bene così, in silenzio.
Il silenzio come disciplina.
Se tutti abbiamo fatto queste esperienze di silenzi – ha ribadito la teologa –, vuol dire che tutti siamo capaci di stare in silenzio, anche di fronte a Dio. Dunque abbiamo la vita, abbiamo lo Spirito Santo, abbiamo l’esperienza del silenzio. Non ci manca niente, non ci serve altro. Se non un grande amore, una grande passione spirituale, e un po’ di disciplina.
Il tema è delicato. Il termine disciplina gode di cattiva fama perché male interpretato. Disciplina non è costrizione – ha spiegato Emanuela Terribile – non è la regola fine a se stessa: questo non si dà mai nel cristianesimo.
La disciplina indica innanzitutto una condizione di vita: la condizione dei discepoli (discepoli di un Amore, oltre che di un Maestro), l’atteggiamento di che è disposto ad imparare, di chi è capace di apprendere. L’amore, la passione, richiedono sempre una certa disciplina, una certa cura, un certo impegno. Anche il silenzio e la preghiera, se si vogliono vivere e imparare, richiedono una disciplina.
La disciplina è organizzazione. Si parla di discipline scolastiche o discipline sportive per dire l’insieme strutturato e organizzato delle nozioni di una certa materia, o delle regole di una certa attività agonistica. Così pure la regola dei monaci è lo strumento/disciplina pensato per organizzare al meglio la loro vita, così come ogni casa, ogni famiglia, ha la sua organizzazione di vita, la sua regola, la sua disciplina.
La disciplina è pratica. Per imparare a fare qualsiasi cosa serve fare pratica. Cucinare tutti giorni a pranzo e a cena è una disciplina, qualcosa che si impara facendolo. In questo senso si capisce che il silenzio, come la preghiera, è una pratica, e la volontà conta meno dell’abitudine/disciplina.
Ma non è obbligatorio – ha ribadito la teologa - non si va in Paradiso pregando o facendo silenzio (per quello basta offrire un bicchier d’acqua a un assetato). Lo si fa se ne abbiamo bisogno. Non si tratta di fare qualcosa in più, ma di fare quello che mi serve. La disciplina è la risposta che la tradizione offre al bisogno di silenzio che maturiamo nella nostra vita.
La paura del silenzio.
Eppure il silenzio mette paura, perché la prima cosa che si sente, nel silenzio, sono i nostri pensieri, proprio quelli che non vogliamo sentire. Il silenzio può essere angoscioso: uno specchio che mi rimanda indietro tutto.
All’inizio è semplice: bisogna solo stare zitti! C’è poi subito da resistere al rumore di se stessi, ma se si ha pazienza, dopo un po’ quel rumore se ne va via. E’ a quel punto che arrivano i guai seri, perché dopo i pensieri viene il nulla. E poi ancora, abbiamo a che fare come mai con il nostro corpo. Un corpo che rimane senza parole, che non deve fare nulla, che si mostra in tutta la sua pesantezza o leggerezza. Che quando si fa sentire, non lascia scampo alla mente (mal di denti…). Che ha una sua autonomia involontaria (il respiro), che non ci appartiene interamente (ci avanza sempre un braccio o qualcosa, quando preghiamo…). L’esperienza del corpo ci mette angoscia. E poi, Dio parla? E come parla? Il cristianesimo non è religione del Libro, ma di un testo sempre interpretato. L’unica parola che Dio ha detto è Gesù. Il logos è Gesù. Dio parla? Si, ma a modo suo, Dio non parla con i nostri fonemi, quando parla Dio fa qualcosa, crea. Gesù è la parola creatrice di Dio.
Se non si fa capire, è un problema Suo…
C’era una suora molto severa, di quelle vecchio stampo. Se ne stava in cappella a pregare, col suo abito nero e il lungo velo, anch’esso nero. La chiamano per un’urgenza improvvisa, non senza timore della sua reazione. Lei invece si alza, si volta repentina e mentre si aggiusta il velo, nel gesto tipico delle suore, la sentono dire: Ah, io Gliel’ho detto! Se si fa capire, la Sua volontà la facciamo; se non si fa capire, è un problema Suo…!
Ha spiegato Emanuela terribile: ci vuole un grande fede per parlare così a Dio, un grande amore, una grande libertà. Esperienze che nascono nelle vite anche molto semplici, che custodiscono una grande capacità di silenzio.
Per restare sulle ginocchia di Dio
E’ più facile con questo aneddoto capire il perché del silenzio e della preghiera. Non lo facciamo per andare in Paradiso – è il concetto ribadito più volte – Noi siamo già stati salvati. E’ che ogni tanto scivoliamo giù dalle ginocchia di Dio. Il silenzio e la preghiera diventano necessari per risalire su quelle ginocchia:
Si prega per stare contenti, per stare contenti con il proprio Dio; per stare tranquilli, in pace, per poter fare quattro chiacchiere col nostro Dio. Ci vuole per questo una grande intimità e una grande confidenza, ccome i mistici.
La preghiera della confidenza, la preghiera del Tu.
Il primo weekend di ottobre si sono svolti a Sacrofano gli esercizi spirituali della parrocchia di San Frumenzio. A predicare è stata chiamata la teologa Emanuela Terribile, che ha affrontato il tema del silenzio e della preghiera, suggerendo come approfondimento questi due testi di Enzo Bianchi e Michel De Certeau. Le sue riflessioni potrebbero essere utili anche ai lavori della nostra Commissione formazione.
Tutti siamo “capaci” di stare in silenzio.
Emanuela Terribile ha iniziato il suo intervento mettendo in guardia da un atteggiamento tanto ricorrente quanto rischioso, quando si parla di silenzio e preghiera. Quello di pensare di non essere capaci.
C’è sempre qualcuno, normalmente un prete, che è più santo e più bravo di noi. Qualcuno che è capace di fare silenzio, è capace di pregare perché ha la “vocazione”, mentre la mia è una vita “normale”, dunque il silenzio non può essere per me. Noi, insomma, non siamo mai adatti, ci manca sempre qualcosa. E allora, dopo un po’, uno si stufa e lascia perdere. E’ uno dei pericoli maggiori della vita cristiana, non perché non si va in Paradiso, ma perché se rinunciamo al silenzio, mancherà qualcosa a noi. Tutti noi, in verità, abbiamo vite “baraccate” ma benedette. Abbiamo lo Spirito Santo: non è possibile che siamo incapaci. Abbiamo la vita e abbiamo lo Spirito Santo: non ci serve altro, non è dato altro.
L’esperienza quotidiana del silenzio.
A confermare la nostra capacità di fare silenzio, ci viene incontro l’esperienza quotidiana, l’esperienza della vita di ciascuno. Malgrado il rumore che ci circonda, infatti, – ha argomentato la teologa - il silenzio non ci è sconosciuto, possiamo dire di saperne qualcosa: sappiamo innanzitutto che lo cerchiamo, che ne abbiamo desiderio.
Tante e spesso inconsapevoli sono le esperienze di silenzio nella nostra vita. Al cinema, ad esempio, mentre guardiamo un film, noi facciamo silenzio. Anche durante un concerto, mettiamo all’auditorium, noi facciamo silenzio (ce ne accorgiamo quando c’è l’intervallo, ed il silenzio di tutti è rotto dai colpetti di tosse, fino ad allora trattenuti). Non lo pensiamo come silenzio, perché sta succedendo qualcosa. Ma quello è silenzio! C’è poi il silenzio pesante, negativo: quando non abbiamo niente da dire, o non vogliamo parlare con qualcuno. C’è il silenzio degli adolescenti, quando mettono il muso, quando usano il silenzio come una porta chiusa, per tenere l’altro lontano. C’è il silenzio come arma da usare contro l’altro, magari tra marito e moglie. C’è il silenzio di fronte alla malattia, davanti alla morte. C’è quindi il silenzio positivo, il silenzio che parla. Ce lo insegna l’esperienza amorosa, quando non hai bisogno di mettere parole in mezzo, e nemmeno gesti. Si sta bene così, in silenzio.
Il silenzio come disciplina.
Se tutti abbiamo fatto queste esperienze di silenzi – ha ribadito la teologa –, vuol dire che tutti siamo capaci di stare in silenzio, anche di fronte a Dio. Dunque abbiamo la vita, abbiamo lo Spirito Santo, abbiamo l’esperienza del silenzio. Non ci manca niente, non ci serve altro. Se non un grande amore, una grande passione spirituale, e un po’ di disciplina.
Il tema è delicato. Il termine disciplina gode di cattiva fama perché male interpretato. Disciplina non è costrizione – ha spiegato Emanuela Terribile – non è la regola fine a se stessa: questo non si dà mai nel cristianesimo.
La disciplina indica innanzitutto una condizione di vita: la condizione dei discepoli (discepoli di un Amore, oltre che di un Maestro), l’atteggiamento di che è disposto ad imparare, di chi è capace di apprendere. L’amore, la passione, richiedono sempre una certa disciplina, una certa cura, un certo impegno. Anche il silenzio e la preghiera, se si vogliono vivere e imparare, richiedono una disciplina.
La disciplina è organizzazione. Si parla di discipline scolastiche o discipline sportive per dire l’insieme strutturato e organizzato delle nozioni di una certa materia, o delle regole di una certa attività agonistica. Così pure la regola dei monaci è lo strumento/disciplina pensato per organizzare al meglio la loro vita, così come ogni casa, ogni famiglia, ha la sua organizzazione di vita, la sua regola, la sua disciplina.
La disciplina è pratica. Per imparare a fare qualsiasi cosa serve fare pratica. Cucinare tutti giorni a pranzo e a cena è una disciplina, qualcosa che si impara facendolo. In questo senso si capisce che il silenzio, come la preghiera, è una pratica, e la volontà conta meno dell’abitudine/disciplina.
Ma non è obbligatorio – ha ribadito la teologa - non si va in Paradiso pregando o facendo silenzio (per quello basta offrire un bicchier d’acqua a un assetato). Lo si fa se ne abbiamo bisogno. Non si tratta di fare qualcosa in più, ma di fare quello che mi serve. La disciplina è la risposta che la tradizione offre al bisogno di silenzio che maturiamo nella nostra vita.
La paura del silenzio.
Eppure il silenzio mette paura, perché la prima cosa che si sente, nel silenzio, sono i nostri pensieri, proprio quelli che non vogliamo sentire. Il silenzio può essere angoscioso: uno specchio che mi rimanda indietro tutto.
All’inizio è semplice: bisogna solo stare zitti! C’è poi subito da resistere al rumore di se stessi, ma se si ha pazienza, dopo un po’ quel rumore se ne va via. E’ a quel punto che arrivano i guai seri, perché dopo i pensieri viene il nulla. E poi ancora, abbiamo a che fare come mai con il nostro corpo. Un corpo che rimane senza parole, che non deve fare nulla, che si mostra in tutta la sua pesantezza o leggerezza. Che quando si fa sentire, non lascia scampo alla mente (mal di denti…). Che ha una sua autonomia involontaria (il respiro), che non ci appartiene interamente (ci avanza sempre un braccio o qualcosa, quando preghiamo…). L’esperienza del corpo ci mette angoscia. E poi, Dio parla? E come parla? Il cristianesimo non è religione del Libro, ma di un testo sempre interpretato. L’unica parola che Dio ha detto è Gesù. Il logos è Gesù. Dio parla? Si, ma a modo suo, Dio non parla con i nostri fonemi, quando parla Dio fa qualcosa, crea. Gesù è la parola creatrice di Dio.
Se non si fa capire, è un problema Suo…
C’era una suora molto severa, di quelle vecchio stampo. Se ne stava in cappella a pregare, col suo abito nero e il lungo velo, anch’esso nero. La chiamano per un’urgenza improvvisa, non senza timore della sua reazione. Lei invece si alza, si volta repentina e mentre si aggiusta il velo, nel gesto tipico delle suore, la sentono dire: Ah, io Gliel’ho detto! Se si fa capire, la Sua volontà la facciamo; se non si fa capire, è un problema Suo…!
Ha spiegato Emanuela terribile: ci vuole un grande fede per parlare così a Dio, un grande amore, una grande libertà. Esperienze che nascono nelle vite anche molto semplici, che custodiscono una grande capacità di silenzio.
Per restare sulle ginocchia di Dio
E’ più facile con questo aneddoto capire il perché del silenzio e della preghiera. Non lo facciamo per andare in Paradiso – è il concetto ribadito più volte – Noi siamo già stati salvati. E’ che ogni tanto scivoliamo giù dalle ginocchia di Dio. Il silenzio e la preghiera diventano necessari per risalire su quelle ginocchia:
Si prega per stare contenti, per stare contenti con il proprio Dio; per stare tranquilli, in pace, per poter fare quattro chiacchiere col nostro Dio. Ci vuole per questo una grande intimità e una grande confidenza, ccome i mistici.
La preghiera della confidenza, la preghiera del Tu.
mercoledì 6 ottobre 2010
Aspettando l'incontro con Meddi
Questo è il testo di Luciano Meddi, in vista dell'incontro che avremo con lui venerdì 8 ottobre alle 19, nella nostra parrocchia.
lunedì 20 settembre 2010
Luciano Meddi venerdì 8 ottobre
Cambio di programma per il prossimo appuntamento della commissione formazione. Annullata la data prevista del 25 settembre.
Per il primo incontro con l'esperto l'appuntamento è spostato a venerdì 8 ottobre, dalle ore 19.00 alle 21.00, in parrocchia, a San Frumenzio.
Ascolteremo la testimonianza di Luciano Meddi, docente di catechetica all'Università Urbaniana, già presidente dell'Associazione Italiana dei Catecheti. Sarà un incontro preliminare rispetto al cammino previsto per quest'anno. Meddi ci introdurrà infatti nella conoscenza delle nuove direzioni della catechetica.
Ricordiamo il nostro obiettivo, come commissione, di ascoltare le esperienze di chi sta già realizzando concretamente percorsi innovativi di formazione, per integrarle e quindi provare a creare un percorso nuovo, un itinerario formativo basilare adeguato alle esigenze e alle risorse (competenze, disponibilità) della comunità parrocchiale di San Frumenzio.
Per il primo incontro con l'esperto l'appuntamento è spostato a venerdì 8 ottobre, dalle ore 19.00 alle 21.00, in parrocchia, a San Frumenzio.
Ascolteremo la testimonianza di Luciano Meddi, docente di catechetica all'Università Urbaniana, già presidente dell'Associazione Italiana dei Catecheti. Sarà un incontro preliminare rispetto al cammino previsto per quest'anno. Meddi ci introdurrà infatti nella conoscenza delle nuove direzioni della catechetica.
Ricordiamo il nostro obiettivo, come commissione, di ascoltare le esperienze di chi sta già realizzando concretamente percorsi innovativi di formazione, per integrarle e quindi provare a creare un percorso nuovo, un itinerario formativo basilare adeguato alle esigenze e alle risorse (competenze, disponibilità) della comunità parrocchiale di San Frumenzio.
giovedì 16 settembre 2010
Rialfabetizzare - Quinto incontro
Sono ripresi lo scorso 7 settembre i lavori della commissione formazione, che si è riunita per la quinta volta dalla sua istituzione.
Il parroco ha presentato il calendario annuale degli incontri (vedi il primo commento) che saranno in tutto nove, il sabato pomeriggio, in parrocchia, dalle 17.00 alle 20.00. Il primo, sabato 25 settembre.
Incontreremo e ascolteremo almeno quattro esperti (vedi post precedente), persone che già sperimentano sul campo un metodo innovativo ed efficace di trans-formazione. Alternando ogni incontro di ascolto con uno di verifica e di risonanza delle cose ascoltate, rispetto alle esigenze specifiche del nostro progetto e della comunità parrocchiale di San Frumenzio.
Delle esperienze che verranno presentate ci interessa conoscere i contenuti, ma soprattutto il metodo, l’itinerario, il progetto. Porremo dunque agli esperti queste due semplici ma precise domande: qual è l'obiettivo e qual è il metodo del vostro itinerario?
Tra coloro che ci piacerebbe ascoltare ci sono: Luciano Meddi (in particolare per l’incontro preliminare, sulle direzioni fondamentali della nuova catechetica); Giuseppe Sovernigo, Marco Rupnik, lo stesso Marco Guzzi, che fa parte della nostra commissione.
Rimettiamo a fuoco il nostro obiettivo “ambizioso”: ascoltare le diverse esperienze, integrarle e quindi creare un percorso nuovo, un itinerario formativo basilare che utilizzi liberamente materiali e ispirazioni altrui.
Un percorso rivolto agli operatori pastorali, non in quanto “tecnici” della pastorale, ma "in quanto persone" (tutti abbiamo bisogno di ricominciare a vivere, di riscoprire una “sorgività” della fede).
Un percorso che punti al “cuore” delle persone (inteso biblicamente, non romanticamente), alla loro “carne” (abbiamo parlato, negli incontri precedenti, dell’importanza di tornare a comprendere il “corpo”). Che si faccia carico delle ferite e delle fragilità (psichiche) che nessuno vuole ascoltare o è in grado di riconoscere.
E’ impossibile parlare di Dio, abbiamo convenuto, senza attraversare il mondo esistenziale nelle sue profondità spesso inconsapevoli. L’elemento esistenziale profondo (psicologico) è oggi imprescindibile – 100, 50 anni fa non era così – ma si capisce solo alla luce della comprensione culturale (la mia crisi nella crisi dei tempi). Perché l’itinerario funzioni devono inter-agire tutti e tre gli elementi: psicologico, culturale, spirituale. Un itinerario per adulti, un’opera di destrutturazione e ricostruzione, sulla base della lettura dei tempi.
La centralità della relazione. L’esperienza della vita ci insegna che è la relazione che cambia le persone, che le cura, le aiuta a guarire (o le ferisce). Le persone lo sanno, sentono che la relazione è curativa, ma non sanno cosa questo comporti (vedi le crisi coniugali o affettive in generale). Se questo è vero, non potremo riproporre una serie di lezioni frontali, ma dovremo provare a costruire un cammino di formazione relazionale, fondato sulle relazioni (accompagnamenti, piccoli gruppi). Nel nostro metodo deve essere prevista la costruzione di relazioni profonde (o almeno le “istruzioni” per la costruzione di queste relazioni, il desiderio di esse: sarebbe bello partorire madri e padri spirituali). Dobbiamo, insomma, “rialfabettizzare” la relazione, così come dobbiamo rialfabettizare l’ascolto di sé (l’autoconoscimento).
La consapevolezza è quella di essere “analfabeti” rispetto alle dinamiche relazionali, all’osservazione di sé, all’ascolto profondo. Dobbiamo imparare ad ascoltarci e raccontarci al di là delle rappresentazioni (maschere) anche religiose che abbiamo costruito di noi stessi. Il Focusing, ad esempio, insegna ad ascoltare parti di noi che normalmente non conosciamo. E’ questa un’esigenza molto sentita, magari anche inconsapevolmente, dagli uomini di oggi. Il nostro itinerario, dunque, vorrà aiutare le persone a riconoscere, riscoprire e “narrare qualcosa di sé” (che in termini religiosi potremo forse definire come il percorso di discernimento che porta alla scoperta della propria vocazione in Cristo).
L’incontro della commissione termina con l’assegnazione dei compiti. Il parroco cercherà la disponibilità dei relatori, a partire da Luciano Meddi per il 25 settembre (o il 16 ottobre). Chiederà inoltre a Meddi, come agli altri testimoni, di inviare anticipatamente un testo per poter riflettere prima e arrivare più preparati all’incontro. L’idea è di mettere a disposizione gli eventuali contributi su questo blog o sul sito della parrocchia di San Frumenzio.
Resta in sospeso la questione dei gruppi parrocchiali, la verifica dei loro cammini formativi.
Il parroco ha presentato il calendario annuale degli incontri (vedi il primo commento) che saranno in tutto nove, il sabato pomeriggio, in parrocchia, dalle 17.00 alle 20.00. Il primo, sabato 25 settembre.
Incontreremo e ascolteremo almeno quattro esperti (vedi post precedente), persone che già sperimentano sul campo un metodo innovativo ed efficace di trans-formazione. Alternando ogni incontro di ascolto con uno di verifica e di risonanza delle cose ascoltate, rispetto alle esigenze specifiche del nostro progetto e della comunità parrocchiale di San Frumenzio.
Delle esperienze che verranno presentate ci interessa conoscere i contenuti, ma soprattutto il metodo, l’itinerario, il progetto. Porremo dunque agli esperti queste due semplici ma precise domande: qual è l'obiettivo e qual è il metodo del vostro itinerario?
Tra coloro che ci piacerebbe ascoltare ci sono: Luciano Meddi (in particolare per l’incontro preliminare, sulle direzioni fondamentali della nuova catechetica); Giuseppe Sovernigo, Marco Rupnik, lo stesso Marco Guzzi, che fa parte della nostra commissione.
Rimettiamo a fuoco il nostro obiettivo “ambizioso”: ascoltare le diverse esperienze, integrarle e quindi creare un percorso nuovo, un itinerario formativo basilare che utilizzi liberamente materiali e ispirazioni altrui.
Un percorso rivolto agli operatori pastorali, non in quanto “tecnici” della pastorale, ma "in quanto persone" (tutti abbiamo bisogno di ricominciare a vivere, di riscoprire una “sorgività” della fede).
Un percorso che punti al “cuore” delle persone (inteso biblicamente, non romanticamente), alla loro “carne” (abbiamo parlato, negli incontri precedenti, dell’importanza di tornare a comprendere il “corpo”). Che si faccia carico delle ferite e delle fragilità (psichiche) che nessuno vuole ascoltare o è in grado di riconoscere.
E’ impossibile parlare di Dio, abbiamo convenuto, senza attraversare il mondo esistenziale nelle sue profondità spesso inconsapevoli. L’elemento esistenziale profondo (psicologico) è oggi imprescindibile – 100, 50 anni fa non era così – ma si capisce solo alla luce della comprensione culturale (la mia crisi nella crisi dei tempi). Perché l’itinerario funzioni devono inter-agire tutti e tre gli elementi: psicologico, culturale, spirituale. Un itinerario per adulti, un’opera di destrutturazione e ricostruzione, sulla base della lettura dei tempi.
La centralità della relazione. L’esperienza della vita ci insegna che è la relazione che cambia le persone, che le cura, le aiuta a guarire (o le ferisce). Le persone lo sanno, sentono che la relazione è curativa, ma non sanno cosa questo comporti (vedi le crisi coniugali o affettive in generale). Se questo è vero, non potremo riproporre una serie di lezioni frontali, ma dovremo provare a costruire un cammino di formazione relazionale, fondato sulle relazioni (accompagnamenti, piccoli gruppi). Nel nostro metodo deve essere prevista la costruzione di relazioni profonde (o almeno le “istruzioni” per la costruzione di queste relazioni, il desiderio di esse: sarebbe bello partorire madri e padri spirituali). Dobbiamo, insomma, “rialfabettizzare” la relazione, così come dobbiamo rialfabettizare l’ascolto di sé (l’autoconoscimento).
La consapevolezza è quella di essere “analfabeti” rispetto alle dinamiche relazionali, all’osservazione di sé, all’ascolto profondo. Dobbiamo imparare ad ascoltarci e raccontarci al di là delle rappresentazioni (maschere) anche religiose che abbiamo costruito di noi stessi. Il Focusing, ad esempio, insegna ad ascoltare parti di noi che normalmente non conosciamo. E’ questa un’esigenza molto sentita, magari anche inconsapevolmente, dagli uomini di oggi. Il nostro itinerario, dunque, vorrà aiutare le persone a riconoscere, riscoprire e “narrare qualcosa di sé” (che in termini religiosi potremo forse definire come il percorso di discernimento che porta alla scoperta della propria vocazione in Cristo).
L’incontro della commissione termina con l’assegnazione dei compiti. Il parroco cercherà la disponibilità dei relatori, a partire da Luciano Meddi per il 25 settembre (o il 16 ottobre). Chiederà inoltre a Meddi, come agli altri testimoni, di inviare anticipatamente un testo per poter riflettere prima e arrivare più preparati all’incontro. L’idea è di mettere a disposizione gli eventuali contributi su questo blog o sul sito della parrocchia di San Frumenzio.
Resta in sospeso la questione dei gruppi parrocchiali, la verifica dei loro cammini formativi.
mercoledì 15 settembre 2010
Una missione impossibile
Questo che andiamo scrivendo è il primo post del neonato blog sanfrumenzio lab, il piccolo spazio web aperto dalla commissione formazione della parrocchia romana di San Frumenzio per accompagnare e condividere i suoi lavori, le sue elaborazioni, i contenuti dei suoi incontri.
La commissione formazione nasce la scorsa primavera per volontà del Consiglio pastorale di San Frumenzio, nel tentativo di mettere a frutto gli stimoli e le riflessioni che hanno caratterizzato ripetutamente e animatamente le sedute del Consiglio nel corso di questi anni: le questioni della formazione, dell’iniziazione cristiana, della comunicazione della fede, di fronte alla crisi evidente dei modelli educativi, formativi e iniziatici tradizionali, anche quelli più “avanzati”. Crisi testimoniata dall’esperienza quotidiana e certificata ripetutamente dai documenti ecclesiali. Crisi di fede e crisi di senso, esistenziali, che coinvolgono tutti: uomini e donne, giovani e anziani, mogli e mariti, padri e madri, laici e consacrati, credenti e non credenti.
Il nostro obiettivo si rivela onestamente temerario, impossibile, eppure necessario: per la parrocchia di San Frumenzio e per coloro che la animano, che la frequentano; per il quartiere Prati Fiscali di Roma e le persone che lo abitano e lo vivono. Provare a elaborare e quindi sperimentare un nuovo itinerario formativo basilare che risponda ai bisogni profondi delle persone. Che integri in materia organica i tre livelli costitutivi dell’umano: la dimensione esistenziale (psicologica e “carnale”) , la dimensione culturale (capire la crisi, leggere i segni dei tempi), la dimensione spirituale (la meditazione, l’ascolto della Parola, la preghiera profonda).
Nei mesi precedenti l’estate il gruppo si è visto quattro volte e ha riferito in Consiglio pastorale le prime decisioni. L’anno pastorale che inizia sarà dedicato all’ascolto degli “esperti”, alle testimonianze cioè di coloro già stanno sperimentando, concretamente, qualcosa di nuovo. Gli incontri, aperti alla partecipazione di tutto il consiglio pastorale, si alterneranno alle verifiche dei cammini formativi parrocchiali (battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, fraternità, shalom, ecc…), sulla base di un questionario predisposto per favorire l’analisi degli obiettivi, dei contenuti e dei metodi proposti. L’itinerario formativo basilare a cui lavora la commissione sarà proposto in prima battuta a tutti gli operatori pastorali.
La commissione formazione nasce la scorsa primavera per volontà del Consiglio pastorale di San Frumenzio, nel tentativo di mettere a frutto gli stimoli e le riflessioni che hanno caratterizzato ripetutamente e animatamente le sedute del Consiglio nel corso di questi anni: le questioni della formazione, dell’iniziazione cristiana, della comunicazione della fede, di fronte alla crisi evidente dei modelli educativi, formativi e iniziatici tradizionali, anche quelli più “avanzati”. Crisi testimoniata dall’esperienza quotidiana e certificata ripetutamente dai documenti ecclesiali. Crisi di fede e crisi di senso, esistenziali, che coinvolgono tutti: uomini e donne, giovani e anziani, mogli e mariti, padri e madri, laici e consacrati, credenti e non credenti.
Il nostro obiettivo si rivela onestamente temerario, impossibile, eppure necessario: per la parrocchia di San Frumenzio e per coloro che la animano, che la frequentano; per il quartiere Prati Fiscali di Roma e le persone che lo abitano e lo vivono. Provare a elaborare e quindi sperimentare un nuovo itinerario formativo basilare che risponda ai bisogni profondi delle persone. Che integri in materia organica i tre livelli costitutivi dell’umano: la dimensione esistenziale (psicologica e “carnale”) , la dimensione culturale (capire la crisi, leggere i segni dei tempi), la dimensione spirituale (la meditazione, l’ascolto della Parola, la preghiera profonda).
Nei mesi precedenti l’estate il gruppo si è visto quattro volte e ha riferito in Consiglio pastorale le prime decisioni. L’anno pastorale che inizia sarà dedicato all’ascolto degli “esperti”, alle testimonianze cioè di coloro già stanno sperimentando, concretamente, qualcosa di nuovo. Gli incontri, aperti alla partecipazione di tutto il consiglio pastorale, si alterneranno alle verifiche dei cammini formativi parrocchiali (battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, fraternità, shalom, ecc…), sulla base di un questionario predisposto per favorire l’analisi degli obiettivi, dei contenuti e dei metodi proposti. L’itinerario formativo basilare a cui lavora la commissione sarà proposto in prima battuta a tutti gli operatori pastorali.
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